Entrevista en Corriere della Sera | Aznar: «Il problema della Ue non è Trump, ma la mancanza di una leadership forte. Attenti a Putin: può usare l’atomica»

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L’ex premier spagnolo, conservatore, considera «vitale» la vittoria di Israele nel Medio Oriente. E guarda «con interesse» a un possibile ruolo internazionale  di Giorgia Meloni. 

FIRENZE – La bomba nucleare? «Putin sarebbe capace di usarla». La difesa europea senza la Nato?  «Non esiste, è semplicemente uno scherzo».  Israele? «È assolutamente essenziale che vinca la guerra in Medio Oriente». E poi Donald Trump, la Commissione di Bruxelles, l’Ucraina.

José Maria Aznar, premier spagnolo al 1996 al 2004, offre una lettura dello scenario internazionale, alternando pragmatismo e richiami «alla responsabilità delle leadership». Aznar, 71 anni, è stato a lungo il capo del Partito popolare in Spagna. Ancora oggi, con il lavoro della sua «Fondazione per l’analisi e gli studi sociali» (Faes) è un punto di riferimento per il mondo conservatore in Europa.

Martedì 26 novembre, prima di rispondere alle domande del «Corriere», ha partecipato a un incontro con circa 300 studenti delle scuole superiori a Firenze, ospite di «Progetto città», una delle iniziative rivolte ai giovani ideate e dirette da Andrea Ceccherini. Ai ragazzi e alle ragazze provenienti da tutta Italia, Aznar ha raccontato il suo primo contatto con Putin: «Era il 2001 e ricevetti la visita del neo presidente russo nel mio ufficio, a Madrid. Eravamo solo noi due, seduti uno di fronte all’altro. Io tirai fuori un foglietto e dissi a Putin: “Signor presidente, qui ho un rapporto dei miei servizi segreti. Scrivono che lei è un uomo duro, che sorride poco, ma con il quale si può trattare”. Putin allora si mise una mano in tasca e sventolò un pezzo di carta: “È una nota dei miei servizi segreti. Dicono che lei è un uomo duro, che sorride poco, ma con il quale si può trattare”. Concludemmo che forse avevamo gli stessi servizi segreti, poi discutemmo per diverse ore».

Ma si aspettava che un giorno Putin avrebbe attaccato brutalmente l’Ucraina?
«Assolutamente no. Ho avuto occasione di vederlo diverse volte. Ci siamo sempre confrontati apertamente. Mi sono trovato davanti un leader forte, ma non ho mai avuto la sensazione che potesse prendere una decisione così sbagliata, totalmente inaccettabile. Nel corso degli anni Putin ha avuto un’evoluzione totalmente negativa: è diventato un autocrate, ossessionato da un’idea assoluta della Russia e dell’interesse russo nel mondo. Per lui l’Ucraina non esiste come Stato indipendente: fa parte della Russia e quindi non può entrare nell’Unione europea e, men che meno, nella Nato. Ha aspettato a lungo l’occasione per riprendersela e quando ha pensato che fosse il momento giusto, lo ha fatto. E adesso temo farà qualsiasi cosa per mantenere il controllo del territorio conquistato, ricorrendo anche alle bombe tattiche nucleari (ordigni devastanti, con un impatto di 2-3 chilometri, ndr)».

Che cosa cambierà per l’Ucraina con Trump alla Casa Bianca?
«Vedo due scenari. Il primo è che Trump di fatto si chiami fuori dalla guerra e lasci agli europei la decisione di continuare a sostenere economicamente e militarmente l’Ucraina. La seconda è che il neo presidente americano si accordi direttamente con Putin, alle spalle degli ucraini».

Per Kiev sono ipotesi una peggio dell’altra…
«Con Trump si apre una stagione che sarà segnata da quattro caratteristiche, come ha osservato Condoleeza Rice (ex Segretario di Stato con George Bush ndr): populismo, isolazionismo, protezionismo, nativismo, cioè ostilità verso gli immigrati. Da queste posizioni discenderanno le scelte di politica estera, anche se non tutte saranno semplici da attuare».

Per esempio si teme che gli Stati Uniti possano attenuare l’impegno nella Nato, se non disimpegnarsi completamente…
«Decisione complicata, perché gli Usa hanno bisogno di alleati in tutto il mondo, in Europa, in Asia, in America Latina se vogliono continuare a tutelare i loro interessi».

Lei conosce da molti anni Marco Rubio, il prossimo Segretario di Stato. Pensa che sarà in grado di condizionare gli orientamenti di Trump?
«Marco è un politico molto abile, con una buona esperienza. E’ un convinto atlantista, pro Nato ed è un fautore della linea dura nei confronti di Russia e Cina. Di solito il Segretario di Stato ha il compito di smussare, di favorire il dialogo. Penso che la linea della nuova Amministrazione sia molto chiara sulla Cina. Il vero problema sarà il rapporto con Putin. Se Trump si dovesse mostrare troppo accomodante, la Cina ne trarrà le conseguenze, accelerando le operazioni per riprendersi Taiwan».

C’è anche Israele…
«Credo che Trump continuerà a sostenere Israele. Non ci sono alternative. Per l’Occidente è vitale difendere Israele. E’ totalmente indispensabile portare a termine gli Accordi di Abramo (intese tra Paesi arabi e Israele ndr)  Se Israele venisse sconfitta, il Mediterraneo diventerebbe il campo di battaglia di grandi scontri».

L’Europa è pronta per far fronte a tutte queste sfide? Putin, Trump, la Cina…
«Vedo molte ansie legate all’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Però vorrei riflettere su alcuni dati. Dieci anni fa l’Unione europea forniva il 23% del prodotto interno lordo mondiale; oggi è al 16%. Vuole dire che sono stati fatti degli errori. E certamente il responsabile non è Trump. Adesso abbiamo questo importante rapporto di Mario Draghi che indica la strada per risalire. Ma  il problema è la leadership. Non ci attacchiamo alle difficoltà dei meccanismi istituzionali. I dirigenti di Bruxelles e dei Paesi europei si mettano d’accordo sugli obiettivi chiave da raggiungere per evitare un altro declino economico. E poi agiscano di conseguenza».

Tra questi obiettivi c’è anche la difesa comune. Può l’Unione europea fare a meno della Nato?
«Stiamo scherzando? Da qui al prossimo secolo non esiste alcuna possibilità che gli europei possano rinunciare alla Nato. E, già che ci siamo, anche l’aiuto militare all’Ucraina non può che passare dall’Alleanza Atlantica. Il punto è capire se gli europei vogliono contare di più nella Nato. Questo potrebbe accadere, ma chiaramente servono investimenti impegnativi».

Ma, di nuovo, ci sono politici europei in grado di prendere queste decisioni? Che ruolo può avere Giorgia Meloni?
«Abbiamo problemi di comando un po’ ovunque. Oggi i leader sono più preoccupati di sopravvivere politicamente ogni giorno che di analizzare i problemi seri dei rispettivi Paesi. Inoltre la frammentazione è molto accentuata ed è molto difficile coagulare il consenso. Faccio l’esempio della Spagna dove sono venuti meno i due tradizionali pilastri: il centro sinistra e il centro destra. Il partito socialista è ormai una forza della sinistra più radicale e questo rende impossibile il dialogo. In altri Paesi, come in Germania, anche il movimento conservatore è diviso, con l’ascesa dell’estrema destra che penso continuerà nelle prossime elezioni. Quanto all’Italia: ha sempre avuto un ruolo rilevante in Europa. Adesso c’è Giorgia Meloni. Trovo sia una figura interessante. Può contare su una posizione di forza, anche se vedo che lei vorrebbe essere ancora più forte. Ma potrà giocare una partita importante nell’Unione europea».